Il micromosaico romano
La “Reverenda Fabrica Sancti Petri” fu lo studio operante in Vaticano per la gestione e realizzazione delle opere edili e artistiche, compreso il micromosaico romano, della Basilica di San Pietro. Alla fine del XVIII secolo, alcuni mosaicisti, addetti alla stessa fra cui Giacomo Raffaelli, crearono un nuovo tipo di mosaico, fatto con le stesse tecniche del mosaico tradizionale ma con tessere di pasta vitrea filata, di gran lunga più piccole (circa 0,1mm) e sottili delle vecchie tessere. Queste, venivano adagiate su di un supporto che poteva essere di vario genere ma il più comune era il “marmo nero del Belgio”, elemento che riusciva a mettere in risalto i colori spiccati e brillanti del micro mosaico. Era un processo lungo soprattutto per i tempi di asciugatura del mastice, collante utilizzato per il supporto delle micro tessere. Dopo la realizzazione del disegno attraverso un lungo processo di incastro, si eseguiva la limatura, fino a giungere alla fase finale che era quella del riempimento dei piccoli interstizi rimasti tra le minuscole bacchette di silicio.
Il micromosaico rappresenta una tecnica difficile, che richiede una pazienza paragonabile a quella dei frati certosini, ma con un risultato unico nel suo genere, un risultato che portò le “botteghe” di questi maestri ad avere una richiesta produttiva copiosa di oggetti e gioielli da parte delle aristocrazie più importanti d’Europa.
I soggetti richiesti erano ovviamente quelli che più andavano di moda all’epoca. Con il Neoclassicismo, le produzioni artistiche richiamavano elementi ellenici o romani dei ritrovamenti di Ercolano e Pompei, ed il “Grand Tour” lasciava una nostalgia nel cuore dei luoghi visitati tanto da desiderarne una copia in miniatura. I soggetti “animalier”, invece, hanno significati diversi, ripresi sempre da raffigurazioni dell’antichità classica, rappresentano allegorie e simbolismi con richiami mitologici. Uno fra tutti il “CAVE CANEM”, la scritta deriva da un famoso mosaico che si trova negli scavi archeologici di Pompei, sul pavimento d’ingresso della Casa del Poeta Tragico, mentre, tra i più riprodotti’ c’è sicuramente il “VASO DI PLINIO”, quattro colombe sul bordo di un cantaro bronzeo colmo d’acqua a cui una si abbevera, descritto nella “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio. Si aggiungono alla produzione ritratti, paesaggi bucolici e scene romantiche, tutto sempre dovuto ad una fervida richiesta da parte di commissioni sempre più importanti.
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