* …Nu quadro è luntananza…
La tecnica della “gouache” o “guazzo”, è sempre stata usata in pittura, ma è nel genere del paesaggio, nel Settecento, che essa da i suoi risultati più significativi. A Napoli si diffonde a partire dalla seconda metà del XVIII secolo e perdura per tutto l’Ottocento. La tecnica si avvale dell’acqua come solvente di base con l’aggiunta di gomma per agglutinare il colore. L’effetto che si ottiene è una pittura leggera a metà tra la tempera e l’acquerello: i toni sono meno corposi che nella tempera, e la riduzione d’intensità non è ottenuta diluendo il colore, ma attraverso l’aggiunta del bianco.
E’ una tecnica rapida, che non consente pentimenti perché il colore si essicca rapidamente. I colori a “guazzo” tendono a risultare opachi, un pregio che conferisce alla veduta una morbidezza ed una vellutata eleganza. Generalmente realizzati su carta ruvida o liscia, mai su tela. A volte, le napoletane, sono firmate o presentano la descrizione del soggetto raffigurato. La paternità del “guazzo” va riconosciuta al paesaggista Jacob Philipp Hackert (1737- 1807) pittore di camera di Ferdinando IV di Borbone, che inserisce l’uso di tale tecnica nel variegato panorama della pittura di paesaggio napoletana.
Questa forma artistica, assume ben presto finalità precise, per una specifica committenza. Si tratta infatti di souvenir dell’affascinante città partenopea e dei suoi dintorni.
Eruzioni vesuviane, tramonti sul mare, feste e popolani variopinti, che vengono acquistati dagli appassionati viaggiatori del “Grand Tour”. Sono questi, intellettuali, professionisti, aristocratici, che amano conservare, tornati in patria, ricordi dei luoghi visitati.
* ”È un quadro da guardare da lontano”
Vi capita mai di vedere un uomo o una donna, da lontano, di una bellezza mozzafiato, da farti venir meno nelle ginocchia, e gradualmente che le distanze si riducono, e la messa a fuoco si fa più nitida, quel “quadro” appare dozzinale, perde la sua bellezza ? Un’illusione ottica. Cammenanno pe Tuledo. Na matina comme n’ata. Na bella jurnata ‘e sole,d’ ‘e Quartiere panne spase. ‘O sguardo mio curiusese posa a tutte cose… Pure si diceno male, sta città è sempe viva. Arrivato a piazza Carità, na luce… – Camillo De Felice –
“Intendeva dire che certi dipinti vanno guardati esclusivamente da lontano, perché solo da una certa distanza se ne apprezza la bellezza. Non appena ti avvicini, infatti, i contorni diventano indefiniti, l’armonia sparisce e si notano invece le pennellate, i solchi lasciati dalle setole, i grumi di colore, la trama della tela, le imperfezioni, il caos cromatico, l’odore pungente dell’essenza di trementina.
Napoli era così: meravigliosa da lontano; scomposta, ineffabile indecente da vicino. ‘Nu quadro ‘e luntananza, il paradiso abitato dai diavoli” – Franco Di Mare –
F.C.
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